InnovaInAzione

L'innovazione in agricoltura attraverso la coltivazione in vitro

I gruppi operativi e il network europeo per l’innovazione nella produttività e sostenibilità dell’agricoltura (Pei-Agri) sono la scommessa dell'Ue per il rilancio del sistema dell'innovazione nel settore primario, che soffre per lo scollamento tra la ricerca e le esigenze concrete delle imprese e dei consumatori. Il Pei prevede l’ancoraggio ai bisogni delle aziende e della società grazie a un modello di co-creazione, basato sull'interazione e la combinazione tra professionalità, competenze e saperi diversi. Il tutto implica una sorta di agricoltore-sperimentatore, che oltre a produrre alimenti, collabori con l’università, partecipi alla nascita di nuove soluzioni per problemi piccoli e grandi e le condivida con gli altri. Affermare questo modello è un’impresa titanica. Da decenni l’innovazione agricola si “trasferisce”, non si “co-crea”. Spesso l’agricoltore, l’anello debole della catena del valore, semplicemente vi si adegua. Come accade con la remunerazione per i propri prodotti. Non ha né il tempo né il denaro per innovare.

“L’agricoltore è abituato a ottenere un valore molto basso per i suoi prodotti e per lui non è contemplabile nessun’altra spesa se non quella per la produzione. Quindi non investe in ricerca o perché non può permetterselo, o perché non ne percepisce il valore”. A parlare è Valerio Guidolin, agricoltore-biotecnologo di 30 anni. Non fa parte di gruppi operativi ma crede nell’innovazione come leva di competitività e ha fatto della ricerca il suo business. Ha iniziato a sperimentare colture in vitro con le piante carnivore e oggi con la sua azienda agricola Diflora produce giovani piante di tutti i tipi, dagli ortaggi alla frutta e anche il luppolo, che non ha grande tradizione in Italia, ma è essenziale per fare birra artigianale tutta made in Italy.

Igruppi operativi e il network europeo per l’innovazione nella produttività e sostenibilità dell’agricoltura (Pei-Agri) sono la scommessa dell'Ue per il rilancio del sistema dell'innovazione nel settore primario, che soffre per lo scollamento tra la ricerca e le esigenze concrete delle imprese e dei consumatori. Il Pei prevede l’ancoraggio ai bisogni delle aziende e della società grazie a un modello di co-creazione, basato sull'interazione e la combinazione tra professionalità, competenze e saperi diversi. Il tutto implica una sorta di agricoltore-sperimentatore, che oltre a produrre alimenti, collabori con l’università, partecipi alla nascita di nuove soluzioni per problemi piccoli e grandi e le condivida con gli altri. Affermare questo modello è un’impresa titanica. Da decenni l’innovazione agricola si “trasferisce”, non si “co-crea”. Spesso l’agricoltore, l’anello debole della catena del valore, semplicemente vi si adegua. Come accade con la remunerazione per i propri prodotti. Non ha né il tempo né il denaro per innovare.

“L’agricoltore è abituato a ottenere un valore molto basso per i suoi prodotti e per lui non è contemplabile nessun’altra spesa se non quella per la produzione. Quindi non investe in ricerca o perché non può permetterselo, o perché non ne percepisce il valore”. A parlare è Valerio Guidolin, agricoltore-biotecnologo di 30 anni. Non fa parte di gruppi operativi ma crede nell’innovazione come leva di competitività e ha fatto della ricerca il suo business. Ha iniziato a sperimentare colture in vitro con le piante carnivore e oggi con la sua azienda agricola Diflora produce giovani piante di tutti i tipi, dagli ortaggi alla frutta e anche il luppolo, che non ha grande tradizione in Italia, ma è essenziale per fare birra artigianale tutta made in Italy.

“Le aziende più giovani sono mediatamente più ricettive – prosegue nel suo racconto Guidolin – ma non è solo questione anagrafica, se poi un imprenditore non è libero di poter crescere. Saper valorizzare chi genera innovazione dovrebbe essere il compito di chi legifera, perché significa garantire lo sviluppo di un mercato più competitivo“.

Fonte della notizia Ansa

28 Maggio 2020